POSSESSO - Accessione "iure hereditario" ed accessione a titolo particolare - Cass. civ. Sez. II Ord., 08-09-2021, n. 24175

POSSESSO - Accessione

In tema di accessione nel possesso, mentre il comma 1 dell'art. 1146 c.c. stabilisce la continuazione del possesso del "de cuius" in capo all'erede senza alcuna interruzione per effetto dell'apertura della successione, il comma 2 della cit. norma prevede, per il successore a titolo particolare (tanto "inter vivos" quanto "mortis causa"), la facoltà di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra "ipso facto" nel possesso della cosa per effetto dell'acquisto del diritto, occorrendo, all'uopo, che si stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, seppur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'"accessio possessionis", il semplice diritto a possedere.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale - Presidente -

Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere -

Dott. TEDESCO Giuseppe - rel. Consigliere -

Dott. CRISCUOLO Mauro - Consigliere -

Dott. OLIVA Stefano - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11423-2016 proposto da:

TARGET INVESTMENT S.R.L., rappresentata e difesa, in forza di mandato in calce al ricorso, dall'avv. Antonio Bertoli;

- ricorrenti -

contro

IMMOBILIARE ZARA S.A.S. DI P.M.C. & C;

- intimata -

avverso la sentenza n. 2725/2015 della CORTE D'APPELLO di VENEZIA, depositata il 30/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/02/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO.

Svolgimento del processo

che:

Viene proposto ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, dalla Target Investment S.r.l. contro decisione della Corte d'appello di Venezia, nella lite intrapresa dall'attuale ricorrente contro l'Immobiliare Zara S.a.s. di P.M.C. & C., che rimane intimata.

La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

che:

1. Ai fini della più agevole comprensione dei fatti di causa giova premettere che:

a) le parti della presente causa sono proprietarie di terreni che appartenevano in origine a un unico proprietario ( C.C.);

b) tale unico proprietario, nel vendere una porzione del terreno identificata al foglio (OMISSIS) a G.C. e B.I. (danti causa mediati dell'attuale ricorrente), si era riservato una servitù di passaggio gravante per 1,50 metri sulla particella alienata e per tutta la sua lunghezza;

c) con il medesimo atto concesse a favore della porzione identificata dalla particella (OMISSIS), oggetto di alienazione, reciproca servitù di passaggio gravante per 1,50 metri sulla particella che restava di sua proprietà, per tutta la lunghezza della medesima;

d) nella proprietà del fondo, con sovrastante fabbricato, identificato dalla particella (OMISSIS), è subentrata la Target Investment S.r.l. (Target), che ha agito dinanzi al Tribunale di Padova nei confronti della Immobiliare Zara S.a.s. di P.M.C. & C., attuale proprietaria della residua porzione dell'originario unico fondo, per fare accertare la linea di confine fra le due proprietà;

e) la Target ha chiesto inoltre accertarsi l'esistenza della servitù di passaggio secondo il titolo e "come risultante dall'esercizio di fatto dei danti causa dell'attrice da oltre venti anni";

f) ha ancora chiesto, in via subordinata, per l'ipotesi che fosse accertato che la servitù fu esercitata per intero all'interno della proprietà della convenuta, dichiararsi, in favore dell'attrice, l'acquisto per usucapione della corrispondente servitù di passaggio, con pedoni e automezzi;

g) il giudice di primo grado ha accertato che la servitù reciproca, costituita dall'originario proprietario all'atto della alienazione di porzione dell'unico fondo, correva a cavallo della linea di di confine fra i due fondi;

h) il medesimo giudice ha accertato che "a confine del fondo attualmente di proprietà dell'attrice verso la proprietà della convenuta vi era dal 1962 e vi è stata fino al 2005 una recinzione rappresentata da un muretto di colore rosso con sovrastante rete metallica e per un tratto di esso un cancello carrabile, poi occupato dalla parete con portone di un garage in lamiera (...), sicchè il passaggio anche in favore di terzi è stato esercitato esclusivamente all'interno della proprietà della convenuta, nella quale si trova lungo il confine con la proprietà attorea una striscia di terreno, libera da costruzioni, ampia oltre 4 metri e di fatto utilizzata per l'accesso all'edificio della stessa convenuta e ad edifici di terzi, nonchè all'indicato cancello e poi garage" (trascrizione della decisione operata a pag. 7 del ricorso);

i) il primo giudice, dopo avere accertato il contenuto della servitù come risultante dal titolo, ha ritenuto che il diverso esercizio, operato nel tempo dai proprietari del fondo attualmente della Target, fosse conseguenza di tolleranza, con esclusione del possesso ad usucapionem di una servitù di passaggio caratterizzata da un contenuto più esteso (si intuisce che l'attrice pretendeva la collocazione del confine in posizione più arretrata verso il fondo della convenuta, tant'è vero che in previsione della collocazione del confine nella posizione indicata dal giudice di primo grado, aveva chiesto che all'accertamento dell'acquisto per usucapione della servitù fosse congiunto l'accertamento della estinzione per non uso della servitù volontaria: domanda dichiarata inammissibile dal primo giudice);

1) la Corte d'appello di Venezia ha confermato la sentenza di primo grado innanzitutto in ordine alla determinazione del confine;

m) essa, nel quadro della situazione di fatto come ricostruita dal Tribunale, ha riconosciuto che l'esercizio della servitù, così come di fatto avvenuto, non fosse giustificato in base al titolo;

n) ha confermato la decisione di primo grado nella parte in cui il Tribunale aveva dichiarato l'inammissibilità della domanda di accertamento della estinzione della servitù volontaria per non uso ventennale;

o) in ordine alla domanda di usucapione, proposta dalla Target, la Corte di merito ha ritenuto che "d'immobile che oggi è di proprietà di parte attrice veniva condotto in locazione dai coniugi Gr.An. e consorte dal 1975 al 1999, anno in cui i già menzionati inquilini lasciarono l'immobile e nessuno vi andò più ad abitare, come confermato anche dai testimoni. Manca, quindi, il requisito della continuità del possesso al fine di poter ritenere applicabile il principio dell'accessione dato che vi è una lunga prolungata interruzione dal 1999 al 2005";

p) la corte di merito ha aggiunto che, in ogni caso, la servitù, in ipotesi acquistata per usucapione, non avrebbe potuto avere se non il contenuto che risultava dall'esercizio di fatto, "e quindi a solo esclusivo uso privato".

2. Con l'unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 1140 c.c., comma 2 e dell'art. 1146 c.c., comma 2. La ricorrente propone le seguenti censure:

a) la corte d'appello, nell'escludere dal computo del possesso, il periodo durante il quale il fondo dominante fu condotto in locazione, ha violato la norma che consente l'esercizio del possesso attraverso terzi i quali abbiano la detenzione della cosa;

b) durante l'intero periodo della locazione il passaggio fu esercitato dai conduttori;

c) al termine della locazione il possesso fu esercitato direttamente dai titolari, i quali transitavano sulla strada per mostrare l'immobile ai possibili acquirenti;

d) la corte d'appello non ha poi considerato che il possesso può essere conservato solo animo, ogni qual volta, come nel caso di specie, il soggetto abbia la possibilità di ripristinare il corpus quando lo voglia e non sia desumibile una univoca volontà di dismettere il possesso;

e) la ricorrente poi si diffonde sugli altri requisiti del possesso utile per l'usucapione della servitù, evidenziando l'errore commesso dal primo giudice nel ravvisare la tolleranza.

3. In via preliminare, rispetto all'esame delle censure, si deve precisare non essere stata censurata l'affermazione dei giudici di merito laddove questi hanno accertato che la modalità di esercizio della servitù, oggetto della pretesa dell'attuale ricorrente, non si giustificasse in base al titolo, essendo da questo difforme, non essendo riconducibile ad esso per via interpretativa attraverso la considerazione del comportamento complessivo delle parti (Cass. n. 2466/1969; n. 4670/1986; n. 7795/2002; n. 7639/2009; n. 15046/2018).

Si deve precisare, inoltre, che le ulteriori considerazioni della sentenza impugnata (supra sub p), in ordine al minore contenuto della servitù che la ricorrente pretendeva di acquisire per usucapione, non hanno avuto alcuna incidenza sulla decisione.

Esse, d'altra parte, non sono state censurate, essendo chiaro, nello stesso tempo, che, proprio in quanto estranee al dispositivo, la mancata censura non condiziona l'ammissibilità del ricorso per cassazione sul rigetto della domanda di usucapione del possesso (cfr. Cass. n. 957/77; n. 11160/2004; n. 10420/2005).

4. Da un punto di vista teorico si deve sottolineare che la domanda di usucapione è stata proposta nei gradi di merito senza alcun riferimento al titolo costitutivo della servitù. Ciò significa, sempre da un punto di vista teorico, che l'usucapione non è stata riferita al più ampio modo di esercizio della servitù costituita, ma a una servitù di tipo diverso.

In dottrina tale possibilità, cioè l'acquisto per usucapione di una servitù nuova e diversa da quella che risulta dall'atto costitutivo (non acquistandosi perciò contro il titolo), è ammessa, con la precisazione che non occorre una interversio possessionis, ma si richiede che il titolare cominci a esercitare la servitù apertamente nella misura maggiore in modo da "romperla" con la servitù costituita: da questo momento decorre il termine per l'usucapione, poichè praticamente si esercita una diversa servitù.

Si osserva che, quando le due servitù sono collegate in modo che l'una non possa esercitarsi utilmente senza l'altra, il mancato esercizio della servitù costituita ne comporta l'estinzione per non uso. L'attuale ricorrente, infatti, aveva chiesto l'accertamento dell'avvenuta estinzione della servitù volontaria per non uso ventennale. La domanda è stata dichiarata inammissibile dai giudici di merito e la relativa statuizione non è stata censurata in questa sede di legittimità.

5. Le censure sub a) e b) sono infondate: la Corte d'appello non ha negato che il possesso della servitù possa essere esercitato per mezzo del detentore, in contrasto con il principio, riconosciuto da questa Suprema corte, secondo cui "ai fini del computo del periodo necessario all'acquisto per usucapione di una servitù di passo, l'esercizio del possesso della servitù stessa, da parte del proprietario del fondo dominante, può continuarsi attraverso il medesimo esercizio che ne faccia il detentore, suo affittuario" (Cass. n. 3230/1982; n. 3076/2005). Risulta chiaramente dalla sentenza impugnata che la Corte d'appello non ha fatto coincidere l'interruzione del possesso con la concessione del fondo dominante in locazione, ma con la fine della stessa locazione, quando gli "inquilini lasciarono l'immobile e nessuno vi andò più ad abitare".

6. E' inammissibile la censura sub c), che pone sotto il profilo del diritto una questione che riguarda l'accertamento del fatto: essa, quindi, andava proposta ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, assolvendo agli oneri imposti a chi intenda sollevare in cassazione la relativa censura (Cass., S.U., n. 8053/2014; n. 9253/2017; n. 27415/2018). La ricorrente, invece, si limita a sostenere genericamente che la ripresa del possesso diretto, da parte dei suoi danti causa, risultava dalle deposizioni testimoniali. E' stato chiarito che "è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l'apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito" (Cass., S.U., n. 34476/2019).

La ricorrente, invece, si limita a sostenere genericamente che la ripresa del possesso, da parte dei suoi danti causa, diretto risultava dalle deposizioni testimoniali.

7. E' inammissibile anche la censura sub d).

La ricorrente richiama principi consolidati nella giurisprudenza della Corte, che è costante nell'affermare che per la conservazione del possesso, acquisito animo et corpore, non occorre la materiale continuità dell'uso, nè l'esplicazione di continui concreti atti di godimento e di esercizio del possesso, ma - salva l'ipotesi in cui risulti esteriorizza usata da chiari ed univoci segni l'animus detvliquendi - è sufficiente che la cosa anche relazione alla sua natura e destinazione economico sociale possa ritenersi rimasta nella virtuale disponibilità del possessore, potendo il possesso essere mantenuto anche solo animo purchè il soggetto abbia la possibilità di ripristinare il corpus quando lo voglia (Cass. n. 260/1993; n. 4360/1995; n. 8612/1998; n. 5444/1999; n. 9369/2005).

Si chiarisce che la conservazione del possesso solo animo presuppone necessariamente che il titolare abbia la possibilità di disporre ad libitum ed a propria discrezione della cosa senza che debba avvalersi di azioni violente o clandestine (Cass. n. 6583/1988). Qualora venga meno tale possibilità, il solo elemento intenzionale non è sufficiente alla conservazione del possesso il quale si perde nel momento stesso in cui cessa la effettiva disponibilità della cosa (Cass. n. 6578/1984).

In linea con tali principi si è altresì statuito che n tema di interruzione dell'usucapione - poichè il possesso non richiede, per il suo permanere, il costante, materiale rapporto con la cosa che ne costituisce l'oggetto, essendo sufficiente la disponibilità del godimento della cosa stessa da parte del possessore, non contrastata da terzi - la semplice assenza di manifestazioni del predetto rapporto materiale per un dato periodo, anche se provata, non è di per sè idonea a dimostrare la volontaria dismissione del possesso, la quale deve essere assolutamente univoca per produrre l'indicata interruzione (Cass. n. 6349/1981; n. 4365/1995; n. 8120/2000).

8. Nello stesso tempo, però, ai fini della corretta valutazione della decisione impugnata, occorre tenere conto di un diverso principio, altrettanto consolidato nella giurisprudenza della Corte Suprema, con il quale la ricorrente avrebbe dovuto in via prioritaria confrontarsi.

Si insegna che, esclusa l'ipotesi della successione a titolo universale, per l'acquisto del possesso è sempre necessaria la materiale apprensione della res. Non basta a questo effetto, lo stesso acquisto della proprietà o altro diritto reale. Conseguentemente, in caso di alienazione, l'alienante, che sia nel possesso del bene alienato, continua a mantenerlo, fino a quando non ne faccia la consegna all'acquirente.

Mentre l'art. 1146 c.c., comma 1 stabilisce la continuazione del possesso dal de cuius all'erede, senza alcuna interruzione per effetto del passaggio dal diritto dal primo al secondo, con la conseguenza che quest'ultimo, senza bisogno di materiale apprensione, può esercitare le azioni possessorie; il comma 2 stesso articolo prevede per il successore a titolo particolare - sia mortis causa che per atto tra vivi - la possibilità di unire il proprio possesso a quello del suo autore, con la conseguenza che tale successore non subentra, per effetto dell'acquisto del diritto, anche nel possesso della cosa acquistata occorrendo a tal fine che si stabilisca un rapporto di fatto tra l'acquirente e la cosa diversa e autonomo rispetto a quello che esisteva fra il dante causa e la cosa. Pertanto, in tema di azioni possessorie, il successore a titolo particolare non può limitarsi a dare la prova del suo diritto a possedere, ma occorre che dimostri il suo rapporto di fatto con il bene (Cass. n. 4055/1978; n. 22348/2011).

Nelle successioni a titolo particolare, sia mortis causa sia per atto tra vivi, l'avente causa acquista il solo potere giuridico sulla cosa, costituito dal diritto a possedere, ma se tale diritto non viene realizzato mediante la concreta immissione in possesso ed il conseguente effettivo esercizio del potere di fatto sulla cosa, non è concessa dalla legge la tutela possessoria (Cass. n. 3693/1974; n. 7068/2009) Quanto sin qui detto vale anche con riferimento al possesso di servitù. Il successore nella titolarità del diritto sul fondo dominante non acquista, per ciò solo, anche il possesso della servitù già esercitata dal dante causa, ma occorre la "materiale apprensione": occorre, cioè, che egli incominci a esercitare autonomamente il potere di fatto corrispondente al contenuto della servitù.

8. Consegue da quanto sopra che la ricorrente, al fine di potere invocare l'applicazione in proprio favore della regola della accessione, non poteva limitarsi a dedurre sull'esercizio del possesso da parte dei propri danti causa e, ad ogni modo, sulla conservazione del possesso, da parte di essi, solo animo, ma avrebbe dovuto, in via prioritaria rispetto a una tale deduzione, far leva sull'esercizio in proprio di un possesso di servitù, identico a quello esercitato dai danti causa. Infatti, l'accessione nel possesso del dante causa, prevista dall'art. 1146 c.c., presuppone l'identità del contenuto e del tipo di possesso esercitato dal successore a titolo particolare (Cass. n. 13695/2003).

9. La sentenza impugnata, quando discorre del possesso e della continuità del medesimo, si riferisce con tutta evidenza al supposto fondo dominante e solo implicitamente al possesso della servitù, che è negato in conseguenza del fatto che l'immobile, a vantaggio del quale la servitù avrebbe dovuto esercitarsi, rimase disabitato per un prolungato periodo. Inutilmente si cercherebbe nella decisione della corte veneziana il benchè minimo riferimento all'esercizio, (la parte della Target, di un possesso di servitù identico a quello in ipotesi conservato solo animo dai danti causa dell'attuale ricorrente. Analogamente, l'intero apparato argomentativo, speso nel ricorso, è volto a corroborare la tesi della conservazione del possesso da parte dei danti causa della Target.

In altre parole, intanto avrebbe avuto un senso discorrere della conservazione del possesso dei danti causa solo animo, in quanto la ricorrente avesse censurato la decisione per non avere riconosciuto l'acquisto del possesso, animo et copre, da parte del successore a titolo particolare. Solo in presenza dell'univoco riconoscimento di un tale presupposto diveniva attuale la questione se la Target avesse potuto unire, agli effetti dell'usucapione, il proprio possesso a quello dei propri danti causa. E' stato ampiamente chiarito che l'accessione del possesso della servitù non è effetto automatico dell'acquisto della proprietà e del possesso del fondo dominante, ma occorre che si "stabilisca un ulteriore rapporto di fatto tra detto acquisto e la cosa, analogo, se pur distinto, a quello fra la cosa stessa ed il suo dante causa, non essendo sufficiente, ai fini dell'accessi possessionis, il semplice diritto a possedere" (Cass. n. 742/2000).

10. Sono ancora inammissibili le considerazioni, proposte dalla ricorrente, in relazione al fatto che il Tribunale di Padova aveva errato nel ritenere che l'esercizio della servitù difforme dal titolo, da parte dei danti causa della Target, conseguisse a "mera tolleranza".

Esse infatti si dirigono non contro la sentenza d'appello, ma contro la sentenza di primo grado. In ogni caso la questione rimane priva di incidenza sulla decisione impugnata, la cui ratio si esaurisce nel disconoscimento dei presupposti dell'accessione del possesso ai sensi dell'art. 1146 c.c., comma 2.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Nulla sulle spese.

Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della "sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto".

P.Q.M.

rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 11 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021


Avv. Francesco Botta

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